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Il licenziamento disciplinare: cos’è e quando viene applicato?

Giustificato motivo soggettivo o giusta causa: quando la condotta del dipendente può portare al licenziamento disciplinare.

Il licenziamento disciplinare è una forma di licenziamento estrema che si fonda sui comportamenti del lavoratore che viola le norme stabilite dalla legge, dai contratti collettivi e dal codice disciplinare dell’azienda.

La condotta illecita di un lavoratore può essere sanzionata dal datore di lavoro in molti modi, dal richiamo fino ad arrivare alla forma più incisiva, quella del licenziamento, che interrompe il rapporto di lavoro.

Il lavoratore, in virtù del contratto di lavoro subordinato, è tenuto a prestare la propria opera in cambio della retribuzione e deve osservare una serie di obblighi che gli derivano dal contratto stesso tra cui gli obblighi di diligenza, obbedienza e fedeltà. Stipulando un contratto di lavoro il dipendente si impegna a rispettare le condizioni e le regole imposte dal negozio e deve attenersi alle norme fissate da eventuali codici disciplinari dell’azienda.

Il dipendente che violi le regole o gli obblighi che ha accettato risulta quindi inadempiente e si espone alle sanzioni disciplinari previste, a seconda della gravità del fatto commesso.

È necessario infatti ricordare che il rapporto tra datore di lavoro e lavoratore si basa essenzialmente su un vincolo fiduciario. Quando questo vincolo viene meno il datore di lavoro potrebbe perdere interesse alla prestazione del proprio dipendente e licenziarlo.

Il licenziamento disciplinare può essere motivato da:

  1. Una giusta causa
  2. Un giustificato motivo c.d. soggettivo

 

Licenziamento per giusta causa e giustificato motivo oggettivo: quali sono le differenze?

La legge e la giurisprudenza hanno offerto negli anni al datore di lavoro strumenti diversi di licenziamento che si differenziano in base all’entità e alla portata della condotta del dipendente che si vuole punire mediante interruzione del rapporto di lavoro.

È il caso di dire che non tutte le violazioni da parte del dipendente determinano il licenziamento, ma nei casi più gravi il datore di lavoro può ricorrervi perché è venuta meno la fiducia nei confronti del lavoratore.

Si dirà quindi che il licenziamento per giusta causa avviene in tutti quei casi in cui la condotta del lavoratore costituisca un inadempimento così grave da minare irrimediabilmente il rapporto fiduciario con il datore di lavoro e rendere impossibile la prosecuzione del rapporto.

Per ricorrere a questo tipo di licenziamento occorre però che si verifichino comportamenti e fatti molto gravi: pensiamo al dipendente che ruba beni dell’azienda, che reagisce con violenza a un ordine impartito dal datore di lavoro o da un responsabile o anche a una condotta penalmente rilevante commessa al di fuori dell’orario e del luogo di lavoro ma che sia in grado di ledere l’immagine dell’azienda.

Alla luce della particolare gravità del fatto il datore di lavoro può quindi licenziare il dipendente senza preavviso – si parla anche comunemente di licenziamento “in tronco” – e senza obbligo di corrispondere al dipendente un’indennità.

Qualora invece la condotta del dipendente sia comunque lesiva del rapporto fiduciario e costituisca un inadempimento contrattuale ma non sia così grave da giustificare un’interruzione immediata del rapporto di lavoro il licenziamento avverrà per giustificato motivo soggettivo. È questo il caso del dipendente che reitera nel tempo un comportamento illecito quale l’assenza ingiustificata, il mancato rispetto delle direttive, la falsificazione di documenti o dati aziendali.

In questo caso il datore di lavoro è tenuto a rispettare un termine di preavviso e il rapporto di lavoro può proseguire fino all’effettivo licenziamento.

 

Le modalità del licenziamento disciplinare per giusta causa

Il datore di lavoro è tenuto a comunicare il licenziamento al dipendente mediante una comunicazione in forma scritta. Tale contestazione, che deve contenere le ragioni che motivano la decisione del datore, va portata a conoscenza del lavoratore tramite consegna.

Il lavoratore ha infatti diritto a comprendere quali siano i comportamenti che gli vengono contestati ed eventualmente a negare quanto gli viene addebitato. Qualora il lavoratore presenti un suo scritto difensivo il datore di lavoro potrà tenerne conto e valutare se procedere al licenziamento, se applicare una diversa sanzione disciplinare o se ritirare gli addebiti contestati.

Se il lavoratore ritiene ingiusto il provvedimento di licenziamento del datore di lavoro può impugnarlo entro 60 giorni che vengono calcolati dal giorno in cui il dipendente riceve la comunicazione del licenziamento o dalla comunicazione dei motivi. In tale termine il lavoratore dovrà inviare al datore una comunicazione nella quale annuncia di voler contestare il licenziamento.

Il dipendente avrà poi ulteriori 180 giorni per depositare il ricorso presso la cancelleria del tribunale e comunicare al datore la richiesta di un tentativo di conciliazione presso la direzione provinciale del lavoro, o una richiesta di arbitrato.

Qualora il datore rifiutasse il tentativo di conciliazione o l’arbitrato, o ancora non venisse raggiunto un accordo tra le parti il dipendente avrà 60 giorni di tempo per depositare il ricorso presso la cancelleria del tribunale e adire le vie legali.

Nel caso in cui il giudice dichiari illegittimo il licenziamento sono previste sanzioni diverse a seconda dei parametri stabiliti dalla legge.

Per le imprese con 15 dipendenti impiegati nello stesso comune o con un numero superiore ai 60 dipendenti il datore può essere condannato al pagamento di un’indennità compresa tra un minimo di 12 mensilità e un massimo di 24 dell’ultima retribuzione ma il rapporto si interrompe comunque. Esistono casi nei quali il lavoratore può essere reintegrato, perché il fatto di cui è stato accusato non sussiste o per il tipo di inadempimento possono essere comminate sanzioni più blande.

In tal caso il licenziamento viene annullato, il datore è obbligato a riprendere in servizio il dipendente e a versargli un’indennità pari a 12 mensilità.

Il quadro è diverso per le aziende con un numero ridotto di dipendenti o per i dipendenti che rivestano il ruolo di operai, impiegati, quadri assunti dopo l’entrata in vigore del Jobs Act. In questi casi il lavoratore non potrà essere reintegrato – a meno che non venga provata l’insussistenza del fatto contestato – e il datore sarà tenuto al pagamento di un’indennità. 

 

Il licenziamento disciplinare per giustificato motivo soggettivo

La condotta del dipendente pur integrando un grave inadempimento degli obblighi contrattuali può non essere così grave da determinare l’immediata interruzione del rapporto di lavoro.

Si parla in questo caso di licenziamento per giustificato motivo soggettivo per il quale il datore di lavoro è tenuto a rispettare un termine di preavviso per il licenziamento disciplinare e il dipendente può continuare a lavorare fino all’effettiva risoluzione del rapporto di lavoro.

L’inadempimento che può legittimare un licenziamento per giustificato motivo soggettivo deve essere rilevante e riguardare un dovere espressamente previsto dal contratto, non esterno ad esso. Il licenziamento può essere adottato in caso di assenze ingiustificate, mancato rispetto delle direttive del datore o di un responsabile, falsificazione di dati o documenti aziendali, negligenza o scarso rendimento.

 

Il licenziamento disciplinare è nullo per motivi vietati dalla legge

La legge prevede una serie di casi in cui il licenziamento è affetto da nullità, indipendentemente dalle motivazioni che sono state poste alla base.

È quello che succede quando si verifica un licenziamento discriminatorio che si fonda su motivi di ordine religioso, di lingua, politico, razziale, di sesso o di orientamento sessuale. Parimenti il datore di lavoro non può licenziare il proprio dipendente nei periodi concessi per la maternità o per il matrimonio.

Il giudice, dichiarata la nullità del provvedimento, ordinerà la reintegrazione del lavoratore. Nel caso dei dipendenti assunti dopo il 7 marzo 2015 (vale a dire dopo l’entrata in vigore del Jobs Act) i lavoratori dovranno essere reintegrati entro 30 giorni dall’invito ricevuto dal datore di lavoro, il quale ultimo sarà peraltro condannato a corrispondere un’indennità basata sull’ultima retribuzione e a versare i contributi previdenziali.

La legge riconosce al lavoratore il diritto a rifiutare la reintegrazione e a ottenere, in sostituzione, il pagamento di un’indennità pari a 15 mensilità.

Nel caso si venga colpiti da un licenziamento disciplinare ingiusto, sia questo per giusta causa o per giustificato motivo oggettivo, si può quindi procedere con una contestazione, ma sarà poi il Giudice a disporre in materia. In ogni caso, è fondamentale seguire tempistiche e procedure stabilite dalla legge per l’impugnazione, affinché questa possa essere accolta e valutata, e dar diritto, eventualmente, alla reintegrazione o al risarcimento economico.

 


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