Quando il datore di lavoro può licenziare per giusta causa un proprio dipendente
Il datore di lavoro in presenza di alcuni requisiti può procedere ad allontanare il proprio dipendente dall’azienda. Le modalità ed i requisiti sono diversi a seconda della gravità dei fatti posta in essere dal dipendente.
L’ordinamento italiano prevede le seguenti cause di licenziamento
Vediamo però alcuni esempi in cui il datore di lavoro può licenziare il proprio dipendente.
Come abbiamo sopra accennato il licenziamento per giusta causa è un licenziamento disciplinare che non consente al datore di lavoro nei confronti del dipendente, la prosecuzione neanche per un giorno del rapporto. Tale strumento utilizzato dal datore di lavoro è il più grave e come tale non presuppone neanche il preavviso.
Il datore di lavoro, dopo la legge Fornero[1] all’art. 37, ha l’obbligo di comunicare sempre i motivi di licenziamento. Infatti mentre prima, i motivi, bisognava comunicarli solo a richiesta del lavoratore, ora gli stessi vanno indicati contestualmente al recesso e non possono più essere modificati e/o integrati.
Ecco perché risulta necessaria una preliminare corretta raccolta dei fatti e delle circostanze e una sua disamina al fine di non incorrere in impugnazioni.
L’ordinamento non si ha una casistica tipica, di solito i contratti collettivi ne disciplinano alcuni e, comunque, il Giudice non ne è vincolato.
A venire in aiuto troviamo l’art. 2119 c.c. che ne definisce i parametri generali e che testualmente cita “Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto e a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. Omissis”.
Il Giudice, pertanto, nella sua valutazione dovrà tenere conto di alcuni fattori:
All’atto pratico è opportuno che il datore di lavoro debba sapere in quali circostanze si può configurare il licenziamento per giusta causa.
Vediamo alcuni esempi:
E’ su queste ultime casistiche che il commento odierno si sofferma con una recente pronuncia.
La Cassazione Civile, Sezione Lavoro in data 17 giugno 2020 n. 11697 ha condannato un dipendente che aveva lamentato di essersi procurato un trauma contusivo mentre, a bordo del proprio scooter, si allontanava dal cantiere presso cui svolgeva le mansioni di montatore di scavo e addetto all'assemblaggio di navi. La prescrizione del pronto soccorso era di riposo assoluto per alcuni giorni e trasmissione degli atti all'INAIL.
In tale contesto il datore di lavoro ha avuto il sospetto che l’infortunio ed il conseguente periodo di riposo non fossero rispettati da parte del lavoratore.
Ha quindi incaricato un’agenzia investigativa che nel corso della propria attività di indagine ha raccolto prove del lavoratore intento a pedalare per ore e, con il figlio sulle spalle, a camminare per il centro cittadino. Le risultanze hanno quindi confermato i sospetti del datore di lavoro che ha provveduto prima a contestare i fatti ed in seguito a licenziarlo per giusta causa.
Nonostante il ricorso sia stato impugnato dal lavoratore i Giudici di entrambi i gradi del giudizio e poi ancora gli Ermellini hanno ritenuto che le attività poste in essere dal lavoratore durante il periodo di riposo erano in contrasto con lo stato di infortunio e volti comunque a ritardarne la guarigione.
[1] L. 92/2002
[2] Cass. n.8209/2018
[3] Cass.Lav. n.8816/2017
[4] Cass. n. 3865/2020 la Cassazione chiarisce che per integrare il reato di concorrenza occorre non solo in sè lo storno di ex collaboratori ma che tale atto sia frutto di artifici e raggiri dell’imprenditore concorrente in modalità tali da non integrare i principi di correttezza
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