Il recesso dal contratto di lavoro può avvenire sia per decisione del datore di lavoro attraverso il licenziamento, sia per volontà del lavoratore mediante le dimissioni. Il licenziamento può verificarsi per ragioni economiche ed organizzative dell’azienda (giustificato motivo oggettivo) o per motivi disciplinari (per giusta causa o giustificato motivo soggettivo).
Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo è una forma di risoluzione del contratto a carattere disciplinare.
Il rapporto tra il datore e il lavoratore trova fondamento nella fiducia. Quando il dipendente adotta un comportamento illecito il rapporto di fiducia viene incrinato e si creano le condizioni per il licenziamento.
La giusta causa e il giustificato motivo soggettivo sono facce della stessa medaglia. Le due tipologie hanno infatti una sola cosa in comune: entrambe sono forme di licenziamento disciplinare.
È soltanto il tenore della condotta del dipendente a fungere da discrimine tra l’adozione dell’una o dell’altra tipologia. Il licenziamento per giusta causa e quello per giustificato motivo soggettivo differiscono inoltre per le modalità con cui vengono comminati e per le procedure previste dalla legge.
Un comportamento particolarmente grave commesso dal lavoratore sul posto di lavoro o al di fuori di esso ma comunque lesivo dell’immagine o degli interessi dell’azienda (si pensi a un’eventuale condanna penale per fatti avvenuti al di fuori dell’orario di lavoro) darà al datore di lavoro la possibilità di procedere a un licenziamento per giusta causa che avverrà senza necessità di preavviso, ovvero “in tronco”. Questo perché il comportamento è così grave da rendere impossibile, anche di poco, la prosecuzione del rapporto di lavoro. Il lavoratore colpito da questo provvedimento dovrà quindi lasciare il posto di lavoro con effetto immediato.
Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo è invece un provvedimento teso a sanzionare comportamenti rilevanti dal punto di vista disciplinare che non giustificano una immediata interruzione del rapporto di lavoro ma comunque ritenuti gravi perché costituiscono una violazione o un significativo inadempimento dei doveri contrattuali che il lavoratore è tenuto ad osservare.
Questo tipo di licenziamento può verificarsi sia nel caso di condotte che violano norme del codice disciplinare dell’azienda – che deve essere portato a conoscenza del lavoratore e reso pubblico all’interno del luogo di lavoro – sia per altre forme di inadempimento contrattuale ritenute particolarmente lesive dell’interesse del datore. A differenza del licenziamento per giusta causa, in questo caso il datore di lavoro è tenuto a rispettare un preciso iter stabilito dalla legge. Il mancato rispetto delle procedure rende illegittimo il licenziamento.
Il motivo del licenziamento deve essere comunicato, in modo specifico e dettagliato, al lavoratore che dovrà essere invitato a presentare le proprie giustificazioni. Il datore deve attendere cinque giorni dalle contestazioni prima di poter procedere al licenziamento.
Come abbiamo visto la condizione principale per procedere al licenziamento è un inadempimento del dipendente agli obblighi contrattuali.
L’inadempimento deve soddisfare a sua volta alcuni requisiti per essere ritenuto tale.
Il bene tutelato dalla legge è l’interesse del datore che il dipendente lede con la sua condotta. In assenza di questo requisito e laddove la condotta non sia lesiva di un interesse della controparte non sussiste l’inadempimento e non si può procedere al licenziamento.
L’assenza dal posto di lavoro costituisce un estremo per il licenziamento nel caso sia ingiustificata e protratta per un periodo superiore ai tre giorni nell’arco di un biennio.
Il lavoratore può essere licenziato anche nel caso in cui utilizzi l’assenza ingiustificata come una forma di rivendicazione per non svolgere mansioni inferiori assegnate a parità di retribuzione e come forma alternativa al licenziamento.
Il lavoratore può essere licenziato anche in alcuni specifici casi in cui si rifiuti di ottemperare alle direttive impartite dal datore di lavoro, nei casi in cui:
L’interesse del datore di lavoro e dell’azienda risultano lesi anche quando il lavoratore falsifica dei documenti aziendali.
Il licenziamento può essere comminato anche se, nell’espletamento del suo lavoro, il dipendente omette di comunicare al proprio responsabile delle informazioni rilevanti per l’operatività dell’azienda.
Particolarmente delicato è il caso in cui il lavoratore viene licenziato perché colpevole di negligenza o scarso rendimento.
La negligenza si verifica quando il dipendente si rende responsabile della mancata custodia colpevole di beni patrimoniali dell’azienda o causa un sinistro stradale nello svolgimento delle mansioni da autista.
Il concetto di scarso rendimento non viene identificato con precisione dalla legge e questo ha spinto la Cassazione a pronunciarsi diverse volte per precisare che occorre tenere conto della media dei risultati raggiunti dai vari dipendenti e non è sufficiente riferirsi al conseguimento di una soglia minima di produzione.
Un dipendente assunto a tempo indeterminato può reagire a un licenziamento illegittimo secondo le forme previste dalla legge.
Le recenti riforme del lavoro hanno introdotto regimi di tutela diversificati per lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015 (data prevista dal Decreto legislativo 23/2015), per i quali restano valide le modalità previste dall’art. 18 della legge 300/1970 e dall’art. 8 della legge 604/1966 (e loro successive modificazioni), e per chi invece è stato assunto dopo.
Se il licenziamento riguarda un’azienda che abbia sino a 15 dipendenti il licenziamento illegittimo comporterà la riassunzione del dipendente entro tre giorni o il versamento di un risarcimento.
Per le aziende con un numero di dipendenti superiore a 15 le conseguenze sanzionatorie sono stabilite dall’art.18 dello Statuto dei Lavoratori, modificato nel 2012.
Se mancano i presupposti per il licenziamento viene applicata la tutela reale attenuata con reintegrazione e indennizzo. Negli altri casi viene applicata la tutela obbligatoria standard con una condanna al risarcimento.
Il datore che non rispetta le procedure di licenziamento incorrerà nell’inefficacia del licenziamento e il giudice applicherà la tutela obbligatoria ridotta, con condanna al pagamento di un risarcimento.
Per chi è stato assunto dopo il 7 marzo 2015 in un’impresa che superi le soglie dimensionali previste dall’art.18 dello Statuto dei Lavoratori la reintegrazione avvenire solo nel caso in cui l’insussistenza del fatto contestato al lavoratore sia dimostrata in giudizio. Il datore sarà condannato a versare i contributi previdenziali e assistenziali oltre a una indennità risarcitoria. Per tutti gli altri casi di licenziamento illegittimo il rapporto di lavoro si estingue e al lavoratore è dovuta un’indennità.
Per le imprese che non soddisfano i requisiti dimensionali dell’art. 18 della legge 300/1970 il regime di tutela è pressoché identico ma è esclusa la reintegrazione e la tutela economica è dimezzata.
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