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Il licenziamento durante il periodo di prova

Si può licenziare un dipendente nel periodo di prova? Quando è illegittimo il licenziamento?

Il datore di lavoro e il lavoratore possono stipulare, aggiungendola al contratto di lavoro subordinato, una clausola che introduca il cosiddetto “patto di prova”. Il patto o periodo di prova è una fase temporale che consente a entrambe le parti di valutare reciprocamente la convenienza del contratto.

Attraverso il periodo di prova il datore di lavoro potrà pertanto valutare l’idoneità, le capacità e le competenze del lavoratore che intende assumere. Il lavoratore invece, per parte sua, potrà comprendere in che cosa consista la prestazione che gli viene richiesta e per la quale viene assunto, le condizioni di svolgimento del lavoro e i diversi aspetti della prestazione d’opera.

Si tratta di una condizione che rende possibile l’assunzione a tempo indeterminato del lavoratore soltanto se il patto di prova viene superato da quest’ultimo.

La legge disciplina il patto di prova all’art. 2096 c.c. e stabilisce che esso debba risultare da atto scritto, indicare in modo specifico quali mansioni il lavoratore dovrà svolgere durante il periodo di prova ed essere sottoscritto dal lavoratore. Il patto deve inoltre essere stipulato in un momento precedente l’effettivo inizio della prova o contestualmente ad esso. Se questi requisiti non vengono rispettati il patto di prova è nullo e il rapporto di lavoro si intende a tempo determinato, quindi il licenziamento potrà avvenire soltanto per giusta causa o giustificato motivo.  

La durata del patto di prova viene solitamente fissata dai contratti collettivi e varia a seconda delle mansioni e delle qualifiche da ricoprire nel caso di contratto a tempo indeterminato. Le parti hanno la possibilità di concordare una diversa durata del periodo di prova che non può comunque eccedere mai i termini previsti dai contratti collettivi e in ogni caso non può superare i sei mesi.

Per i contratti a termine la clausola può essere inserita nel contratto stesso e se la durata non è prevista nei contratti collettivi può essere calcolata in proporzione alla durata del rapporto. La legge stabilisce, in questo caso, che la durata del periodo di prova non può essere pari a quella del contratto.

In caso di durata concordata tra le parti il periodo di prova non potrà concludersi prima che sia scaduto tale termine.

Una volta che il periodo di prova è spirato e le parti non hanno manifestato la volontà di recedere il rapporto di lavoro prosegue e il lavoratore potrà essere licenziato solo per giustificato motivo o giusta causa.

 

Il licenziamento del lavoratore in prova

Come già anticipato il lavoratore in prova può essere licenziato senza che si verifichi una delle situazioni che legittimano il licenziamento per giustificato motivo o giusta causa.

La legge lascia tuttavia alle parti, il datore di lavoro e il lavoratore, la facoltà di recedere in qualsiasi momento dal contratto interrompendo immediatamente il rapporto di lavoro. Il lavoratore può farlo presentando le dimissioni, il datore di lavoro invece può manifestare la propria volontà di recesso dal contratto attraverso il licenziamento.

Il licenziamento durante il periodo di prova può essere comunicato in qualsiasi momento, in qualsiasi forma – anche verbalmente – senza necessità di preavviso e senza obbligo di fornire o specificare le motivazioni che hanno condotto il datore a optare per questo provvedimento. Il datore non sarà nemmeno tenuto a corrispondere al lavoratore licenziato un’indennità, in virtù del fatto che entrambe le parti sono libere di recedere dal contratto in qualsiasi momento.

 

I limiti alla libertà di recesso del datore di lavoro

Il datore di lavoro è sì libero di interrompere il rapporto durante il periodo di prova ma non si tratta di una libertà totale e indiscriminata. La legge ha infatti stabilito dei precisi requisiti che devono essere rispettati, in caso contrario il licenziamento sarà illegittimo.

È necessario che il datore di lavoro consenta l’esperimento delle mansioni che sono oggetto della prova e deve mettere il lavoratore nelle condizioni di poter svolgere queste mansioni. Le mansioni devono essere quelle pattuite nel contratto di lavoro, devono essere indicate per iscritto e il lavoratore deve poter disporre del tempo necessario a espletare queste mansioni. L’indicazione delle mansioni può avvenire anche per relationem, facendo cioè riferimento a quanto viene riportato nei contratti collettivi circa le mansioni che riguardano la qualifica di assunzione ma il richiamo dovrà essere sufficientemente specifico.

La discrezionalità del datore di lavoro può avere ad oggetto soltanto la valutazione delle competenze e del comportamento professionale del lavoratore in prova. Se il lavoratore dovesse dimostrare di aver superato positivamente la prova o se il licenziamento dipendesse da un motivo illecito (discriminazione o condizioni particolari come la malattia o l’invalidità) questo sarebbe nullo.

La giurisprudenza ha inoltre escluso la legittimità del licenziamento per motivi estranei al rapporto di lavoro. In questo caso il lavoratore non sarà più tenuto a provare che il motivo posto alla base del licenziamento sia illecito, potendosi limitare a dar prova del fatto che riguarda circostanze esterne al contratto.

Il licenziamento risulta illegittimo anche nel caso in cui il datore di lavoro, prima del recesso, abbia comunicato anche verbalmente al lavoratore il superamento del periodo di prova o questo possa risultare evidente da altri elementi.

Secondo la legge e l’orientamento prevalente in giurisprudenza l’onere della prova grava sul lavoratore che deve poter dimostrare l’illegittimità del recesso esercitato dal datore di lavoro.

 

Conseguenze del licenziamento illegittimo

Il patto di prova può essere affetto da un vizio genetico quando manca di uno dei suoi requisiti essenziali (tempestività della stipulazione, definizione della durata, forma scritta, mancata indicazione precisa delle mansioni) o da un vizio funzionale che ricorre quando il patto, pur valido dal punto di vista formale e quindi efficace tra le parti non venga adempiuto (il lavoratore non viene messo in condizione di svolgere le mansioni oggetto della prova perché destinato a mansioni diverse o la durata dell’esperimento è stata inadeguata).

Se il vizio è genetico il patto di prova viene considerato nullo ed è come se non fosse mai stato siglato. In questo caso il lavoratore viene considerato assunto a tempo indeterminato e si applicano – a seconda delle dimensioni occupazionali e della data di assunzione del dipendente (prima o dopo l’entrata in vigore del Jobs Act) – le stesse norme che riguardano il licenziamento per giusta causa o giustificato motivo che risulti illegittimo.

Quando il patto è affetto da un vizio funzionale si verifica un inadempimento contrattuale e il lavoratore può ottenere il risarcimento del danno.

Il risarcimento potrà essere in forma specifica, con richiesta al giudice di poter terminare il periodo di prova oppure, laddove il periodo sia terminato, il lavoratore potrà chiedere il risarcimento del danno in denaro che viene solitamente commisurato al periodo medio di disoccupazione di un lavoratore dello stesso settore e della stessa fascia di età. Nella stima del danno possono essere contemplate anche le eventuali occasioni di lavoro che il lavoratore potrebbe aver perso accettando quel lavoro.


Fonti normative

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