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Il licenziamento durante la malattia del dipendente

Un lavoratore può perdere il posto di lavoro durante la malattia. Quali sono i casi in cui è possibile procedere al licenziamento?

Il principio fondamentale alla base del trattamento del dipendente in stato di malattia è il diritto alla conservazione del posto. Secondo la legge il lavoratore non può essere licenziato per il solo fatto di essere malato ma il datore di lavoro è tenuto a rispettare alcuni limiti definiti dalle norme e dall’orientamento della giurisprudenza che più volte si è pronunciata sul tema.

Senza tutele un datore di lavoro potrebbe procedere al licenziamento utilizzando come giustificazione la malattia del proprio dipendente. La legge ha quindi stabilito che il dipendente in malattia si può sì licenziare ma solo dopo che sia decorso un lasso di tempo che viene definito periodo di comporto e la cui durata è prevista dalle norme o dai contratti collettivi. Un licenziamento intimato in questo periodo è nullo e non produce quindi effetti per il dipendente.

Solo nell’eventualità che il lavoratore in malattia si renda responsabile di fatti gravi che integrano una violazione o un inadempimento degli obblighi contrattuali il datore potrà procedere al licenziamento per giusta causa o giustificato motivo.

 

Il periodo di comporto: quando il licenziamento diventa possibile

Un dipendente in malattia potrà essere licenziato soltanto una volta che sia decorso il periodo di comporto, una fase utile a tutelare il diritto del lavoratore a veder conservato il suo posto di lavoro.

È il codice civile, all’art. 2110, comma 2, a riconoscere all’imprenditore il diritto a recedere dal contratto di lavoro solo quando sia decorso il periodo stabilito dalla legge dagli usi o secondo equità. La norma, per quanto riguarda la durata di detto periodo, rimanda pertanto alle previsioni dei contratti collettivi nazionali.

Il periodo di comporto per gli impiegati è stabilito per legge e trova il suo fondamento nel Regio Decreto 1825/1924 che fissa la durata in 3 mesi per il dipendente che abbia un’anzianità di servizio inferiore a 10 anni e in 6 mesi per chi supera i 10 anni. Qualora il singolo contratto collettivo introduca termini diversi e più lunghi si applicherà questo in quanto norma più favorevole al dipendente. Per quanto riguarda il comporto degli operai la sua durata è esclusivamente prevista dal contratto collettivo.

Una volta scaduto il periodo di comporto l’azienda può licenziare o mantenere il dipendente in forza. Se opta per il licenziamento dovrà comunicare la decisione al dipendente in forma scritta e indicando i singoli giorni di assenza dovuti alla malattia, senza peraltro attendere che lo stesso lavoratore rientri in servizio.

Il datore di lavoro è inoltre tenuto a rispettare il preavviso che viene definito dal contratto collettivo in base al livello di anzianità del dipendente. Il preavviso, particolarmente in questo caso, è finalizzato a consentire al lavoratore licenziato di disporre di un periodo di tempo per trovare un’altra occupazione prima dell’effettiva cessazione del rapporto di lavoro.

Il preavviso decorrerà dalla data di comunicazione del licenziamento al dipendente. In caso di mancato preavviso l’azienda sarà tenuta al pagamento della retribuzione che gli sarebbe spettata se avesse prestato regolarmente la sua opera tra la data di ricevimento della comunicazione e l’ultimo giorno di contratto, compresa la tredicesima e la quattordicesima mensilità.

 

Le deroghe al principio del periodo di comporto

Esistono casi nei quali il datore di lavoro può procedere al licenziamento senza attendere che sia scaduto il periodo di comporto.

Il licenziamento in costanza di malattia può quindi avvenire per:

 

Il licenziamento per giusta causa

Il lavoratore può essere licenziato durante la malattia se si rende responsabile di un grave inadempimento. È il caso di un dipendente che sfrutta il periodo di malattia per svolgere un altro lavoro, che falsifica un certificato per prolungare il periodo di malattia, che abbandona il posto di lavoro cagionando un danno per le persone o per la sicurezza dei beni o rivestendo compiti di custodia e sorveglianza. Anche la sottrazione di dati aziendali integra gli estremi per il licenziamento per giusta causa.

In questi casi il datore di lavoro potrà licenziare il dipendente senza preavviso, vale a dire “in tronco”, e il rapporto di lavoro si interromperà immediatamente anche se il lavoratore è in malattia.

 

L’infermità sopravvenuta

Il lavoratore può essere licenziato anche nel caso di un’infermità permanente sopravvenuta. La prognosi dell’infermità deve tuttavia essere indeterminata o indeterminabile e deve essere sorta per cause indipendenti rispetto alle condizioni di lavoro per giustificare il licenziamento che avverrà per giustificato motivo oggettivo.

Affinché il licenziamento per invalidità sopravvenuta sia legittimo devono verificarsi anche ulteriori condizioni. Il datore di lavoro deve infatti poter dimostrare che non vi è non vi è più un apprezzabile interesse alla prestazione del lavoratore colpito da infermità.

L’imprenditore deve inoltre, prima di procedere al licenziamento, verificare che il dipendente non possa essere ricollocato in alcun modo in un altro reparto o destinato a una diversa mansione, eventualmente anche inferiore rispetto a quella svolta.

Questo ricollocamento deve però poter essere adottato soltanto se non comporta alterazioni o modificazioni significative degli assetti organizzativi o produttivi dell’azienda.

Sarà il datore di lavoro a dover provare che non vi erano le condizioni per evitare il licenziamento.

 

Lo scarso rendimento: motivazione legittima o no?

Il caso dello scarso rendimento come motivo di licenziamento per giustificato motivo oggettivo in costanza di malattia è stato ampiamente dibattuto almeno fino all’intervento, nel 2014, della Cassazione.

La Suprema Corte ha infatti ritenuto legittimo il licenziamento di un dipendente per via delle reiterate assenze “a macchia di leopardo” che avevano inciso negativamente sulla produttività e sull’organizzazione aziendale.

È ad esempio il caso di lavori svolti su turni giornalieri per i quali un’assenza improvvisa può comportare gravi ripercussioni sulla distribuzione dei turni stessi costringendo il datore di lavoro a individuare dei sostituti per coprire l’assenza.

 

Altri casi di licenziamento in malattia

Come anticipato il dipendente può essere legittimamente licenziato in costanza di malattia se l’azienda cessa la propria attività, per mancato superamento del periodo di prova anche se questo non può essere ricondotto alla malattia e anche in caso di mancata conferma al termine del periodo di formazione previsto per l’apprendistato.

 

Il licenziamento illegittimo

Il licenziamento intimato al lavoratore prima che sia terminato il periodo di comporto è semplicemente nullo per violazione dell’art. 2110 c.c. che risulta essere norma imperativa e inderogabile dal contratto collettivo o individuale.

In quanto viziato da nullità il licenziamento non produrrà effetti e il lavoratore avrà diritto ad essere reintegrato nel proprio posto di lavoro e a vedersi riconosciuta la retribuzione maturata nel periodo compreso tra il licenziamento e la reintegrazione.

Nel caso di lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015 (entrata in vigore del Jobs Act) il licenziamento avvenuto prima della scadenza del periodo di comporto risulta ingiustificato e per quanto la norma non preveda espressamente il regime sanzionatorio per il caso specifico il datore sarà comunque tenuto al versamento di un’indennità (tra le 6 e le 36 mensilità).

 


Fonti normative

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