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Il licenziamento per furto in azienda

Cosa avviene quando il dipendente si rende responsabile di un furto o di un tentativo di furto di beni appartenenti all’azienda? È possibile effettuare un licenziamento per furto in azienda? 

Il furto, o il tentativo di furto, di beni appartenenti all’azienda da parte del dipendente costituisce una condotta frequente che viene normalmente sanzionata con il licenziamento per giusta causa, la forma più grave di licenziamento per motivi disciplinari.

Il licenziamento per furto in azienda rientra nell’ambito del licenziamento per giusta causa e trova fondamento nell’art. 2119 del codice civile che disciplina il recesso da un contratto di lavoro qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria del rapporto.

Il furto, che consiste nell’impossessarsi della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri (art. 624 c.p.) è una condotta penalmente rilevante, punita con la reclusione e con la multa. Il codice penale prevede la non punibilità del fatto quando per le modalità e per l’esiguità del danno l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale (art. 131 e 133 c.p.).

Ai fini del licenziamento quello che rileva è però il grave inadempimento degli obblighi contrattuali accettati dal dipendente con la sottoscrizione del contratto di lavoro. Il comportamento illecito del lavoratore che ruba beni di proprietà dell’azienda lede inoltre il vincolo di fiducia che deve sussistere tra le parti, legittimando di fatto il datore di lavoro a licenziare il dipendente senza preavviso, vale a dire “in tronco”, proprio perché non vi è possibilità alcuna di proseguire il rapporto, neanche in forma provvisoria.

 

La rilevanza penale del fatto e l’entità del danno patrimoniale

L’esito del procedimento penale, che può concludersi anche con un’archiviazione della posizione per particolare tenuità del fatto (si pensi a un dipendente che ha rubato merce per un valore di pochi euro) non condiziona la libertà del datore di lavoro. Secondo la giurisprudenza prevalente, negli ultimi anni chiamata più volte a pronunciarsi su questi aspetti, la misura del licenziamento per giusta causa è da considerarsi legittima e proporzionale anche nel caso in cui i beni sottratti siano di modico valore e la condotta delittuosa del dipendente non arrechi un danno economico considerevole per l’azienda.

Occorre infatti tenere presente l’autonomia del processo civile rispetto al procedimento penale. I due iter seguono logiche diverse e tutelano differenti interessi. Il processo penale mira ad accertare il compimento di un fatto identificato come fattispecie di reato e l’offensività di questo per gli interessi della vittima. In sede civile invece il giudice deve invece stabilire se c’è stata una violazione degli obblighi derivanti da un contratto e se è stato cagionato un danno, quantificandone l’entità in termini economici.

Nell’ambito di un rapporto di lavoro un furto non rileva per la maggiore o minore entità del valore del bene sottratto ma costituisce una grave forma di inadempimento agli obblighi contrattuali cui il dipendente è tenuto nei confronti del datore di lavoro e soprattutto lede il vincolo di fiducia che risulta fondamentale. La condotta illecita del lavoratore crea un vulnus nel rapporto di lavoro tra datore e dipendente perché risulta sintomatica di un approccio, da parte del dipendente, per nulla conforme al rispetto delle regole e dei principi di diligenza e fedeltà che è obbligato a prestare nei confronti dell’altra parte.

La legge, attraverso il licenziamento, tende quindi in questo caso a sanzionare il disvalore intrinseco della condotta delittuosa.

Qualora il giudice penale decidesse l’archiviazione del procedimento, ritenendo la non punibilità del dipendente per via della particolare tenuità del fatto (art. 131 c.p.p) il datore di lavoro potrebbe comunque procedere al licenziamento per giusta causa.

 

Il furto: onere della prova e circostanze del licenziamento per giusta causa

È possibile effettuare un licenziamento per furto in azienda? La risposta è senza dubbio affermativa.

Il datore di lavoro, per poter procedere al licenziamento per giusta causa motivato da un furto del dipendente, deve però accertare la condotta in modo concreto e non come fatto astratto. Si dice quindi che l’onere della prova ricade sul datore di lavoro, il quale non potrà quindi basarsi su generiche accuse. L’azienda deve pertanto raccogliere elementi di prova concreta e producibili in giudizio per vedere tutelati i propri diritti.

 

Licenziamento illegittimo e furto tollerato

Se la giurisprudenza costante propende per la legittimità del licenziamento per giusta causa in caso di furto, in un caso la Cassazione (sentenza 1634/2019) ha stabilito che il licenziamento fosse illegittimo in quanto la sottrazione di materiali di scarto era una prassi consolidata e tollerata all’interno dell’azienda.

Conoscere e tollerare una condotta illecita esporrebbe dunque l’azienda all’illegittimità di un eventuale licenziamento per furto.

La legge consente alle aziende di rivolgersi ad un’agenzia investigativa al fine di raccogliere quegli elementi di prova inoppugnabili per dimostrare il furto o il tentato furto da parte del dipendente.

Secondo la Cassazione inoltre, il datore di lavoro può filmare i dipendenti al fine di smascherare l’autore o gli autori del furto.

 

La procedura di licenziamento in caso di furto in azienda

Nel caso di un dipendente che si renda responsabile di un furto o di un tentato furto il datore di lavoro può procedere al licenziamento per giusta causa che potrà avvenire senza alcun preavviso – il cosiddetto licenziamento in tronco – proprio perché il dipendente, con la sua condotta, ha violato il vincolo fiduciario e non sussistono più i presupposti per una prosecuzione anche provvisoria del rapporto di lavoro.

Il datore non sarà nemmeno costretto a corrispondere un’indennità al lavoratore licenziato ma deve comunque rispettare l’iter procedurale previsto dalla legge per questo tipo di licenziamento disciplinare.

  1. Una volta accertato il furto o il tentativo di furto e raccolte le prove utili a sostenere questo addebito nei confronti del dipendente, il datore di lavoro dovrà procedere alla contestazione dell’illecito che dovrà avvenire per iscritto e rispettare i tre requisiti della specificità, dell’immediatezza e dell’immutabilità.
  2. Il datore deve pertanto indicare con precisione le circostanze nelle quali sarebbe avvenuto il furto (luogo, orario, condizioni e, naturalmente, oggetto della sottrazione fraudolenta), deve farlo immediatamente e non può modificare le circostanze del fatto contestato in un secondo momento. La contestazione deve essere portata a conoscenza del destinatario – non necessariamente mediante raccomandata – ma può essere consegnata anche a mano.
  3. Il lavoratore che riceve la contestazione ha a disposizione cinque giorni per presentare la sua difesa, oralmente o attraverso degli scritti nei quali fornisce le sue ragioni e ha diritto ad essere ascoltato personalmente dal datore di lavoro.
  4. Una volta esperita l’audizione del lavoratore o nel caso in cui questi non abbia presentato memorie difensive il datore può procedere al licenziamento per giusta causa. Il dipendente ha la possibilità di impugnare il provvedimento nei termini di 60 giorni nella forma stragiudiziale e ulteriori 180 giorni per rivolgersi al giudice del lavoro.
  5. Il lavoratore che viene licenziato ha comunque il diritto a ricevere gli stipendi maturati e il Tfr e accede al sussidio di disoccupazione o Naspi. Soltanto nel caso in cui il datore di lavoro intenda costituirsi in giudizio per ottenere, nei confronti della controparte, il risarcimento del danno si procederà alla compensazione tra l’entità del risarcimento riconosciuto dal giudice e le somme dovute al lavoratore.

 


Fonti normative

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