Il lavoratore che viene licenziato in tronco ha diritto alla Naspi? Come cambia con la nuova legge di bilancio lo strumento di sostegno al reddito in caso di disoccupazione?Scopri casistica in attesa dell'importo aggiornato dall’INPS al 2024
Un lavoratore dipendente può essere licenziato dal datore di lavoro per ragioni diverse, di carattere oggettivo o soggettivo. Nei casi più gravi, quando la condotta del dipendente è così grave da minare il legame di fiducia con il titolare – requisito fondamentale del rapporto di lavoro – e da rendere impossibile la prosecuzione del rapporto stesso il lavoratore può incorrere nel licenziamento per giusta causa, comunemente conosciuto anche come licenziamento “in tronco” perché pone immediatamente fine alla prestazione di lavoro.
Il lavoratore in questione ha diritto alla Naspi? Prima di rispondere a questa domanda dobbiamo chiarire che cos’è la Naspi, come funziona e come verrà innovata a partire dal 1° gennaio 2024.
La Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego, introdotta dal Decreto Legislativo n.22 del 4 marzo 2015, è un sostegno fornito dallo Stato a chi abbia perso, per cause indipendenti dalla propria volontà, il lavoro e quindi il reddito professionale. Si tratta quindi di un ammortizzatore sociale finalizzato a garantire al beneficiario un reddito di sostegno nell’attesa che trovi una nuova occupazione.
Vediamo come si calcola la Naspi nel 2024.
Per determinare l'entità dell'assegno NASPI, è necessario procedere attraverso i seguenti passaggi:
Se la retribuzione mensile che si ottiene da questa operazione risulta inferiore alla soglia individuata annualmente, 1.425,21 euro mensili per il 2024 (circolare INPS n. 25/2024), l’importo del trattamento sarà pari al 75% della retribuzione stessa. Se, invece, risulta superiore, la prestazione è pari al 75% dell’importo di riferimento a cui si deve sommare il 25% del differenziale tra la retribuzione mensile e il predetto importo. In ogni caso l’importo dell’indennità non può superare il limite massimo, che per il 2024 è fissato a 1.550,42 euro.
In Italia un dipendente può essere licenziato quando ricorrono circostanze e motivazioni previste dalla legge. Tali circostanze possono essere oggettive, indipendenti quindi dalla condotta del lavoratore, o soggettive. Il nostro ordinamento distingue infatti tra licenziamento per giustificato motivo – che a sua volta può essere oggettivo o soggettivo – o licenziamento per giusta causa.
Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo e per giusta causa sono forme di licenziamento disciplinare, cioè derivanti da una condotta del dipendente. Tale condotta deve essere abbastanza rilevante da ledere il vincolo fiduciario che esiste tra datore e dipendente e che sta alla base del rapporto. L’interesse qui tutelato dalla legge è quello del datore di lavoro a una prestazione, da parte del dipendente, in linea con quanto previsto dal contratto di lavoro. Viene quindi sanzionato l’agire del lavoratore che configuri una lesione degli obblighi previsti dal contratto.
Il licenziamento per giusta causa è la sanzione più severa cui il datore di lavoro può ricorrere in quei casi nei quali il dipendente si renda responsabile di una condotta così grave da rendere impossibile una continuazione della prestazione lavorativa che viene infatti interrotta con effetto immediato; per questo motivo il licenziamento per giusta causa viene definito anche licenziamento “in tronco”.
Data la sua natura di particolare severità il licenziamento per giusta causa – disciplinato dall’art. 2119 c.c. – si ritiene legittimo soltanto se vengono gravemente negati gli elementi essenziali del rapporto lavorativo e se vi è una proporzionalità tra i fatti contestati e la sanzione.
Vengono abitualmente considerati motivi validi per un licenziamento in tronco il furto, la concorrenza sleale, la falsa malattia, l’abuso dei permessi, la grave insubordinazione e tutti quei comportamenti in grado di minare il vincolo fiduciario datore-dipendente.
L’accertamento e l’onere della prova circa i fatti che motivano il licenziamento ricadono in capo al datore di lavoro.
La risposta è sì. L’istituto della NASpI, stabilisce la legge, è dovuto in tutti i casi nei quali il dipendente perda il lavoro in modo involontario. Il lavoratore non ha diritto all’indennità di disoccupazione nel caso in cui si sia dimesso – fa eccezione soltanto il caso di dimissioni per giusta causa – e nell’ipotesi in cui la risoluzione del rapporto di lavoro sia consensuale e la NASpI non sia stata inclusa nelle trattative tra datore e dipendente uscente.
Il requisito dell’involontarietà non riguarda anche il licenziamento disciplinare per giusta causa? Ovviamente no perché, per quanto il lavoratore ponga in essere una condotta fortemente lesiva del vincolo fiduciario che sussiste con il datore, questa non può essere considerata volontaria e il licenziamento per giusta causa potrebbe comunque essere impugnato dal dipendente.
Il dipendente licenziato per giusta causa potrà ottenere la Naspi con decorrenza dal 38° giorno dal licenziamento se ha presentato domanda entro il medesimo termine di 38 giorni. Se ha fatto domanda dopo i 38 giorni ma comunque entro il successivo limite dei 68 giorni riceverà la Naspi dal giorno successivo alla presentazione della domanda.
Quadro Normativo
D.Lgs 4 marzo 2015, n.22
L. 30 dicembre 2021, n. 234
Legge 604/1966
Legge 300/1970
Legge 108/1990
L. 183/2010
D.lgs 23/2015
Art. 2118 – 2119 c.c.
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